L'uva acerba e la vite della
conoscenza vedica
La coscienza di Krishna favorisce una visione pessimistica del mondo?
di Satyaraja Dasa
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“Non vogliamo vedere la fine |
“La vita consiste essenzialmente in uno stato |
“La vera felicità |
Ahiii!” Il mio dentista probabilmente si aspettava uno scambio più significativo, forse semplici battute di spirito o una conversazione amichevole. Dopo tutto non mi vedeva da un bel po’ di tempo, ma io ero lì per motivi seri e lui lo stesso. Non c’era tempo per chiacchiere. “Vediamo,” disse guardandomi in bocca come se cercasse l’oro. “C’è bisogno di qualche otturazione. Hmm. Di terapia canalare certamente e senza dubbio di un ponte, proprio qui dietro.” Fu proprio in quel momento che dalla mia bocca sfuggì quel ahiii. Mi aveva stuzzicato una volta di troppo. “Via,” cominciai “l’idea di tutti questi lavori ai miei denti è deprimente — costerà certamente troppo e probabilmente dovrò soffrire.” “Non lo dico per deprimerti,” disse, scuotendo la testa. “Non è una mia idea. Sono fatti. I tuoi denti hanno bisogno di cure e ne hanno bisogno ora.”
Questo riportò la mia mente ad una conversazione che avevo avuto il giorno prima, alla festa della domenica nel tempio Hare Krishna di Brooklyn. Stavo spiegando alcuni punti fondamentali della coscienza di Krishna ad una nuova arrivata, dicendole che il mondo è un posto di sofferenza, dove hanno luogo ripetute nascite e morti. Tutti noi dobbiamo nascere, morire, invecchiare ed ammalarci, le ricordai, e tutti noi soffriamo per questi tre tipi di sofferenza: quelle dovute al nostro corpo e alla nostra mente, quelle causate dai corpi e dalle menti degli altri e quelle dovute alle calamità naturali. “Perché sei così pessimista?” mi chiese. Un po’ sorpreso dalla sua reazione, le spiegai che la filosofia pessimista che è alla base della coscienza di Krishna è solo un punto di partenza.
Prendendo questo come base — che il mondo materiale può essere un posto pericoloso — la coscienza di Krishna va oltre spiegando come la vita possa essere veramente felice, non solo in qualche promettente vita futura ma anche in questa nostra vita, qui e ora. Ora però, seduto nella poltrona del mio dentista mi sentivo molto simile a quella giovane donna. Il mio dentista mi stava solo esponendo dei fatti, spiegandomi le pessime condizioni della mia bocca. Tuttavia avevo sentito la necessità di ribellarmi sostenendo che stava diventando troppo negativo. Nello stesso modo quando io avevo citato l’ovvia realtà della vita in un mondo materiale che va sempre peggio, la mia nuova amica del tempio aveva sentito il bisogno di rispondermi nello stesso modo, come se io stessi distorcendo i fatti solo per deprimerla.
OTTIMISTI, PESSIMISTI E REALISTI
Le persone in genere appartengono ad una di queste due categorie: ottimisti e pessimisti. Essi fondamentalmente vedono la vita come un’esperienza felice oppure come una triste vicenda. Gli ottimisti vedono il bicchiere mezzo pieno, mentre i pessimisti lo vedono mezzo vuoto. Questi due tipi di persone vedono lo stesso fenomeno in modo differente. Dove si devono collocare i devoti di Krishna? Sono dei pessimisti? No, non lo sono. In verità, essi sono consapevoli delle sofferenze dell’esistenza materiale, ma questa conoscenza è sotto l’influenza della virtù. Al contrario, la conoscenza sotto l’influenza dell’ignoranza è contraddistinta dalla mancanza di consapevolezza — non vedere il dolore e la sofferenza che sono reali componenti del mondo materiale. In altre parole, la coscienza di Krishna ha molto da dire sull’aspetto più scuro dell’esistenza, sul pericolo d’essere catturati in un corpo materiale temporaneo.
A prima vista, perciò, la coscienza di Krishna può apparire pessimistica. Un’analisi più profonda rivela però che essa trascende l’usuale dualità di ottimismo e pessimismo contemporaneamente. Si tratta piuttosto di quello che io chiamerei “realismo” o ancora meglio “realismo spirituale”. Questo significa che c’è un equilibrio. Questo accade perché la coscienza di Krishna non è un prodotto delle normali risposte condizionate, positive o negative, ma è invece la coscienza spirituale tramandataci dai santi e dai saggi del passato. In verità, la coscienza di Krishna è come una gemma preziosa rivelata in origine da Dio stesso e poi trasmessa da anime realizzate della successione disciplina in una discendenza esoterica creata da Dio per aiutare tutte le anime condizionate ad ottenere la definitiva verità spirituale.
IL PESSIMISMO E LA TRADIZIONE FILOSOFICA OCCIDENTALE
Nel linguaggio popolare il termine pessimista è riferito a persone che vedono abitualmente la vita sotto un aspetto fortemente malinconico, che considerano le esperienze dolorose quasi desiderabili — per lo meno nel senso che non saprebbero come vivere diversamente. Per loro il dolore è familiare. Inoltre questo tipo di persone, in genere, apprezza poco gli aspetti piacevoli o positivi della vita. In alternativa, i pessimisti a volte desiderano davvero la felicità nel normale significato positivo della parola, ma sono molto dubbiosi sulla possibilità d’ottenerla. Questi sono due classici tipi di pessimismo. Come sistema filosofico, il pessimismo fa riferimento alla presenza del male nel mondo, alla sofferenza interiore che deriva dai limiti materiali. Le persone amate se ne vanno o muoiono, le situazioni a cui ci attacchiamo cambiano improvvisamente, ansietà di fondo si fanno strada nella nostra vita, specialmente il buco nero del fatto di essere mortali — tutto questo provoca sofferenza sia a livello grossolano che sottile.
In Occidente il filosofo Leibniz ha insegnato che il dolore è parte integrante di un’esistenza limitata e temporanea. Per esempio, egli diceva, non vogliamo vedere la fine del piacere, dell’amore e della vita e tuttavia esse devono finire. Il principio da cui nascono dolore e male — la temporaneità di tutte le cose materiali — è così visto come una parte essenziale della natura. Questa idea è chiara anche nel pensiero buddista, dove le Quattro Nobili Verità classificano le sofferenze in molti modi insieme ad un coerente sistema per la loro cessazione. Questo è insegnato anche nella Bhagavad-gæta, su cui si basa la coscienza di Krishna. Arthur Schopenhauer è considerato uno dei padri del pessimismo, come scuola di pensiero filosofico. Le sue parole, per lo meno per quanto concerne la sofferenza, echeggiano le verità che si trovano nella letteratura vedica.
In definitiva, Schopenhauer ci dice: “Tutta la vita è sofferenza.” Egli spiega questo facendo notare che tutti gli esseri viventi hanno desideri, volontà e necessità. “La vita è desiderio,” afferma, “e poiché questi desideri sono per la maggior parte insoddisfatti, la vita si svolge prevalentemente in uno stato di sforzo insoddisfatto e di privazione.” La sua analisi mi ricorda qualcosa che ho detto al mio dentista: tutti gli sforzi per la felicità materiale ricadono in tre grandi categorie e il risultato di tutti questi è la sofferenza: (1) Cercare la felicità e non ottenerla. Si soffre per ovvie ragioni. (2) Cercare la felicità ed ottenerla, ma essa non è all’altezza delle nostre aspettative. Ecco di nuovo la sofferenza. (3) Cercare la felicità ed ottenerla ed essa è davvero all’altezza delle nostre aspettative, ma dopo un po’ di tempo la perdiamo. Esiste qualche forma di felicità materiale che non rientri in una di queste tre categorie? “E perfino quella che noi chiamiamo felicità,” afferma Schopenhauer, “in verità è solo una temporanea cessazione di qualche particolare sofferenza.”
Tutto ciò che dà piacere ovverosia quello che comunemente viene chiamata felicità, è in realtà essenzialmente sempre e soltanto negativo e mai positivo. Non è un piacere che ci perviene originariamente e spontaneamente, ma deve essere sempre la soddisfazione di un desiderio. Infatti il desiderio o come si dice il senso di mancanza è la condizione che precede ogni piacere; ma con la soddisfazione, il desiderio e quindi il piacere cessano; e perciò la soddisfazione o la gratificazione non può mai essere niente di più che una liberazione da una sofferenza, da un desiderio. La tradizione vedica sviluppa questa stessa idea. Srila Prabhupada si riferisce spesso alla felicità del mondo materiale come semplice “cessazione della sofferenza”. Egli usava l’analogia dello sgabello che veniva immerso nell’acqua. Per punire i malfattori, i carcerieri usavano legare i criminali ad un tipo di sgabello che veniva immerso su e giù nell’acqua, facendoli andare sott’acqua e poi ogni tanto sollevandoli. Boccheggiando per la mancanza d’aria, il criminale carcerato godeva del semplice atto di respirare come del più grande dei piaceri. Similmente Prabhupada ha insegnato che poiché il mondo materiale è così privo di ogni vero piacere — di ogni piacere sostanziale — , le stimolanti sensazioni del corpo e della mente sembrano molto attraenti, come pochi preziosi respiri ad una persona che affoga.
ALLORA I DEVOTI SONO PESSIMISTI?
Dai libri di Prabhupada risulta chiaro che la sofferenza è parte integrante dell’esistenza materiale: “Tutti gli esseri umani soffrono, ma ben pochi indagano sulla loro vera natura o sulla ragione della sofferenza. Nessuno sarà veramente perfetto se non si chiede il perché della sofferenza, se non la rifiuta e sceglie di porvi rimedio. Possiamo considerarci uomini solo quando questa domanda si affaccia alla nostra mente.” (Bhagavad-gita così com’è, Introduzione) L’ultima frase della citazione sopra riportata rivela qualcosa sulla ragione della sofferenza nel mondo materiale. Essa ha lo scopo di agire come impulso affinché l’essere umano si ponga domande sulla coscienza di Dio. Dopo vite caratterizzate da molti tipi di sofferenza, il saggio comincia a chiedersi: “A che serve la vita? Perché sono qui? Perché devo continuare a soffrire?” Queste domande sono l’elemento di separazione tra esseri umani e animali. Nei suoi libri Srila Prabhupada parla spesso di una gerarchia dei livelli di coscienza. Al livello più basso, dice, le persone credono che il mondo sia sicuro, che qui esista un piacere durevole e che si possa vivere felici per sempre.
Egli però aggiunge subito che una vita basata su questo modo di pensare è una vita da animali, in cui i mangiare, il dormire, fare sesso e difendersi sono le attività principali e c’è poco tempo per sviluppare la coscienza di Dio. Gli esseri umani, egli ci dice, devono superare questa mentalità elementare tipica degli animali. Ma basta che facciano anche un piccolo progresso, egli afferma, per cominciare a sviluppare una visione pessimistica della vita, rendendosi conto dei limiti della felicità materiale, della sua futilità e temporaneità. In modo significativo, però, — e questo è il punto principale — Prabhupada parla anche di un più alto livello di esistenza, in cui dice addio al pessimismo collocandosi nella coscienza di Krishna. Da questo punto di vista, la vita è piena di significato, piena di motivazioni, piena di felicità. Questo processo comincia servendo Krishna nel mondo materiale e continua quando raggiungiamo il Suo regno supremo.
NON INGENUI OTTIMISTI
Dopo tutto i devoti credono più nella speranza che nella disperazione, più nella tolleranza che nella paura, essi credono nell’amore e non nell’odio, nella misericordia e non nell’egoismo, nel bello e non nel brutto, in una conoscenza realizzata e non in una fede cieca o nell’irrazionalità. Essi s’impegnano in un duro lavoro per migliorare veramente l’umanità e offrono il loro tempo e la loro vita per aiutare le altre persone. Queste virtù non sono quelle di un pessimista. I devoti però non sono neanche ingenui ottimisti. Non credono che tutti gli esseri umani necessariamente perseguano gli scopi più elevati. La coscienza di Krishna è una filosofia pragmatica — gli esseri umani non sono necessariamente buoni o cattivi, ma hanno in realtà la possibilità di essere entrambe queste cose. Per questa ragione Srila Prabhupada ha fondato questa istituzione (l’ISKCON) per stimolare il bene definitivo e scoraggiare non solo l’aperta malvagità, ma anche la virtù attenuata dal materialismo.
Da questo punto di vista molti possono guardare i devoti un po’ di traverso, chiedendo perché essi non s’impegnino di più in attività sociali o in sforzi altruistici. La verità è che i devoti sono favorevoli a queste cose, ma preferiscono spiritualizzarle e portarle al livello successivo usandole nel servizio a Krishna. Per esempio, i devoti credono nel nutrire le persone, ma essi insistono a nutrirle con il Krishna prasadam, suntuose preparazioni vegetariane offerte a Krishna con amore. La distribuzione del prasadam è il compendio della distribuzione del cibo perché nutre le persone sia a livello spirituale che materiale. I devoti sono favorevoli a questo tipo di sforzo olistico, l’unico che essi credono possa aiutare le persone a superare il male e il dolore. E questa è la domanda: come pensiamo di superare il male e la sofferenza umana? Molte religioni tradizionali insegnano che le possiamo superare soltanto nell’aldilà dove un benevolo Dio governa il suo regno paradisiaco.
La coscienza di Krishna però respinge l’idea di aspettare qualche dolce futura ricompensa in cielo. Sì, coloro che sono coscienti di Krishna hanno un posto assicurato dopo questa vita con Krishna nel mondo spirituale, ma questo non è il loro pensiero principale. Prabhupada invece ha insegnato ai devoti che in questa vita si deve sempre lottare contro la sofferenza umana e il male. Poiché ciascuno di noi è responsabile degli errori fatti durante la nostra vita, siamo anche responsabili del bene che facciamo. La coscienza di Krishna insegna che noi possiamo agire bene davvero, ma solo se siamo arresi a Dio con il cuore pieno d’amore e devozione. I devoti cercano di far questo nella loro vita ed insegnano agli altri lo stesso principio. Prabhupada conclude: Conoscenza significa comprendere come il supremo controllore controlla. Le persone che sfidano la religione e negano l’esistenza di un controllore supremo sono come lo sciacallo che continua a saltare e saltare, cercando di raggiungere l’uva di una vigna alta. Dopo aver visto che non può raggiungere l’uva dice a se stesso: “Oh, non c’è bisogno di prenderla, è certamente acerba.”
Le persone che dicono che non c’è bisogno di comprendere Dio stanno indulgendo in questa filosofia dell’uva acerba. Qui Prabhupada capovolge l’idea del “devoto pessimista”. Egli vede il materialista come un pessimista — come colui che rifiuta Dio a causa di un tipo di filosofia dell'"uva acerba”. In realtà, secondo la prospettiva dei Veda i devoti nutrono la più grande speranza per l’umanità — impegnarla nel servizio a Krishna — mentre i materialisti non hanno speranza, avendo rinunciato a cercare di comprendere Dio. E in questa disperazione talora considerano pessimisti i devoti. I devoti invece apprezzano questo mondo più di chiunque altro, perché lo vedono in relazione a Dio. Alcuni rimarranno soddisfatti da questa visione: “Bene. È importante vedere Dio nella Sua creazione, ma perché allora voi devoti tendete invece a porre l’accento sul Creatore?” La ragione è molto semplice, i devoti sanno che concentrarsi sulla creazione può distrarre una persona dal Creatore. Perciò i devoti pongono l’accento sul Creatore per aiutare le persone ad evitare la trappola di essere deviati. Finché non s’impara a concentrarsi su Dio, il rapporto tra Lui e la Sua creazione rimane un’astrazione. Questa non è “uva acerba”; è una realtà della vita.
Satyaraja Dasa è un discepolo di Srila Prabhupada che contribuisce con regolarità a BTG. Ha scritto più venti libri. Vive con sua moglie e la figlia vicino a New York City.
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