Fondersi o Incontrarsi [©iStockphoto/com | Sam Camp]

 

"Lo scopo della via è fondersi in Dio". Questa è una nozione diffusa nei circoli della spiritualità e gli spiritualisti che vi aderiscono si chiamano impersonalisti. Credendo che la realtà suprema sia impersonale, essi ritengono che in ultima analisi la realizzazione spirituale comporti la perdita della propria identità e la fusione nell’assoluto impersonale. Spesso i ricercatori che si rivolgono alla saggezza della tradizione vedica presumono che questa nozione impersonalista provenga dalle Scritture stesse. Ma è così? Con la celebre metafora del fiume e dell’oceano le Upanisad descrivono l’unione finale dell’anima con Dio. Per esempio, la Mundaka Upanisad (3.2.8) insegna che proprio come un fiume si unisce all’oceano, così l’anima si unisce a Dio. Questa metafora è visivamente evocativa e intellettualmente provocatoria, ma implica davvero e necessariamente un esito impersonalista? Non proprio. Vediamo perché.


L’enfasi: fondersi o fluire?

La stessa metafora si trova perfino nelle Scritture che trattano della bhakti, specialmente nello Srimad- Bhagavatam, che la usa per esemplificare il piano della devozione imperitura. Per comprendere quest’enfasi vediamo prima di tutto in che modo procede la rivelazione nelle Scritture vediche. Si guarda alle Upanisad come a un astruso corpo paradossali, e il cui contenuto viene trattato, discusso e delineato nel Vedanta-sutra, un testo di conoscenza ancor più esoterico. Per fare chiarezza su questi libri, Srila Vyasadeva, l’autore del Vedanta--sutra – e di tutte le Scritture vediche – compilò lo Srimad-Bhagavatam, il suo capolavoro, che contiene l’essenza delle sue opere precedenti.

Solo dopo averlo scritto egli si sentì pienamente soddisfatto, perché era infine riuscito a svelare la verità più alta in modo puro e chiaro. Il Bhagavatam utilizza molte volte la metafora del fiume e dell’oceano; prendiamone due esempi, uno presentato dal Signore, l’altro dal Suo devoto. Nei versi 3.29.11-12 dello Srimad-Bhagavatam, Kapiladeva, una manifestazione del Signore, insegna: “Il servizio devozionale si dice puro quando la mente del devoto è attratta unicamente dall’ascolto del nome e delle qualità trascendentali della Persona Suprema, che risiede nel cuore di ogni essere. Come l’acqua del Gange fluisce naturalmente verso l’oceano, l’estasi devozionale, non ostacolata da alcuna condizione materiale, fluisce liberamente verso il Signore.”

Nel suo commento, Srila Prabhupada scrive: “Il principio fondamentale del servizio di devozione puro e incontaminato è l’amore per Dio.” Il verso e il commento enfatizzano dunque il fluire costante del fiume e non la sua eventuale fusione, così ambita dall’impersonalista. Per capire meglio le implicazioni di queste due enfasi, esaminiamo un altro punto in cui appare la stessa metafora. Nelle sue preghiere a Krishna (Srimad Bhagavatam 1.8.42), la regina Kunti, una grande devota, afferma: “Signore di Madhu, fa che la mia attenzione sia rivolta a Te e a nessun altro, come il Gange scorre sempre senza ostacoli verso l’oceano.”

Nella sua spiegazione di questo verso, il commentatore Vaisnava Visvanatha Cakravarti Thakura chiarisce il senso della preghiera, sottolineando che il fluire del cuore del devoto verso Krishna non può essere ostacolato né dall’interno né dall’esterno: “Come il Gange porta un grande flusso d’acqua all’oceano, il quale accoglie in sé fiumi grandi e piccoli, possa la mia mente portare il mio amore a Te che sei il rifugio di tutti i devoti. Nel suo percorso, il Gange non si ferma davanti ad alcun ostacolo; così, possa la mia mente non lasciarsi ostacolare da nulla che la distolga dal pensiero di Te.”

Possiamo formulare questi due punti usando un chiasmo*: un devoto non trattiene niente; niente trattiene un devoto. Un devoto non trattiene niente: Quando un fiume scorre verso l’oceano, non trattiene neanche una goccia della sua acqua, ma la offre tutta alla corrente. Così, un devoto non trattiene niente; offre invece il cuore, la vita e tutto il suo essere a Krishna. Ora come ora i nostri desideri impuri, mal diretti, c’impediscono di offrirci pienamente a Krishna, ma la tendenza sbagliata del nostro cuore, che ci allontana da Krishna, si trasformerà man mano che ci purificheremo con la pratica della bhakti.

La regina Kunti e i devoti che seguono il suo esempio recitano la preghiera succitata per esprimere il loro desiderio intenso di amare Krishna con tutto il cuore. Grazie a uno sforzo sincero e alla misericordia di Krishna, col tempo saremo capaci di offrire noi stessi a Krishna come un fiume offre se stesso all’oceano. Niente trattiene un devoto: un fiume trova sempre la sua via verso l’oceano. Può scorrere sotto, sopra o intorno a un ostacolo, e perseverando può addirittura attraversarlo. Così va verso Krishna il cuore del devoto: superando qualsiasi ostacolo. Un devoto, qualunque problema abbia, trova il modo di pensare a Krishna e di servirlo.

Per esempio, Srila Prabhupada nei suoi ultimi giorni era fisicamente debilitato, sfibrato e paralizzato dalla lunga malattia, eppure restava spiritualmente cosciente e fermo nella sua determinazione a servire Krishna. Continuò a dettare i suoi commenti e a guidare gli altri nella loro vita devozionale. Le circostanze esterne possono cambiare la forma del nostro servizio devozionale, ma non possono impedirci di praticarlo. Se siamo fisicamente inabili, possiamo non essere in grado di danzare nel kirtana, ma il nostro cuore può danzare con gioia quando vediamo glorificare il Signore.


La simultanea unità e differenza

I testi vedici che illustrano la bhakti enfatizzano in modo chiaro l’aspetto metaforico del fluire, non quello del fondersi. La preghiera della regina Kunti evoca il sentimento di un eterno presente. Come un fiume non smette mai di scorrere verso l’oceano, così la coscienza del devoto va eternamente verso il Signore. Quest’enfasi particolare ci aiuta a vedere l’unità sotto una luce nuova: non una fusione di esseri, bensì un incontro di cuori. Quando due cuori si uniscono nell’amore, restano due anche se diventano uno.

Ecco il mistero dell’amore, svelato e spiegato negli insegnamenti di Sri Caitanya Mahaprabhu. Avatara dell’attuale era di Kali, Sri Caitanya è celebre per aver diffuso il canto collettivo dei santi nomi di Dio, ma non altrettanto per il Suo contributo filosofico. Egli ha insegnato la conclusione vedica più elevata, che va sotto il nome di acintya-bhedabheda-tattva (inconcepibile e simultanea unità e differenza) e mette d’accordo le scuole di pensiero personalista e impersonalista. Pur essendo noi qualitativamente uguali Dio, la nostra identità differisce dalla Sua e questa simultanea unità e differenza trova la sua rappresentazione perfetta in entrambi gli aspetti della metafora del fiume e dell’oceano: il fondersi e il fluire.

Una concentrazione eccessiva o esclusiva sul primo dei due aspetti induce una comprensione incompleta, ed è un errore pensare che l’incompleto sia completo. La Bhagavad-Gita sottolinea più volte l’inadeguatezza di una comprensione esclusivamente impersonalista della realtà spirituale. Per esempio, il verso 9.11 definisce illuso chi pensa che la Verità Assoluta sia impersonale e assuma una forma umana, quindi personale, semplicemente per incarnarSi. Il verso successivo (9.12) prosegue dichiarando senz’ambiguità che coloro i quali sono illusi in questo modo vedranno frustrata ogni loro speranza di progresso e di successo.

Poi, il verso 9.13 glorifica i devoti che sono attratti solo da Krishna, riconoscendoLo come la verità suprema. Infine, il verso 9.14 loda la costanza (satatam, nitya-yuktah) e la tenacia (dridha-vratah) dei devoti nel loro servizio a Krishna. Questi due attributi si legano rispettivamente alle due caratteristiche della metafora del fiume e dell’oceano: non trattenere niente interiormente e non lasciarsi trattenere da alcun ostacolo esterno. Le indicazioni contenute nei testi sulla bhakti rivelano la realtà spirituale in tutta la sua gloria: fluire per sempre, incontrarsi per sempre. Il fluire dinamico della nostra energia devozionale, integrato nell’estasi imperitura dell’unione del nostro cuore col cuore di Krishna: questa è la bellezza dell’eterno sentiero dell’amore divino.

 

Caitanya Carana Dasa è un discepolo di Sua Santità Radhanatha Swami. È laureato in ingegneria elettronica e delle telecomunicazioni, e fa servizio a tempio pieno al tempio ISKCON di Pune. Ha scritto undici libri. Per leggere altri suoi articoli o per ricevere le sue riflessioni giornaliere sulla Bhagavad-gita, “Gita-Daily” visitate thespiritual-scientist.com.

 

*Espediente letterario con cui si crea un incrocio tra due frasi simili, sistemandone le parole in ordine reciprocamente invertito.

 

 

Una pausa di preghiera