l hatha yoga e la bg
Yogini in bianco: ©Mitar Gavric | Dreamstime.com. - Suonatore di cembali e montaggio: Yamaraja Dasa.

 

In base ad un’indagine del 2003 compiuta dalla Sporting Goods Manufacturers Association si stima che 13,4 milioni di Americani praticano lo yoga e che molti di più ne fanno esperienza ogni anno. Lo yoga è ovunque — da Mumbai a Mosca a Montecarlo, ma mentre lo yoga è fatto per portare una persona più vicino a Dio, molti yogi di oggi hanno scopi diversi, il più comune dei quali è mantenere il corpo in forma. “Non sempre sono molto dedicati alla spiritualità, ma vedono piuttosto lo yoga come una forma di esercizio fisico,” dice Jennifer McKinley, una dei fondatori e direttrice generale di Plank, una fabbrica di sofisticati tappetini da yoga, sostegni e altri accessori di alta qualità a Charleston nel Massachusetts. Fondata nel 2005, questa società progetta per l’anno a venire un volume di vendita che farà concorrenza a quello delle attrezzature per ginnastica occidentali. In un mondo sempre più materialistico è naturale desiderare che preziose tecniche antiche vengano adattate agli scopi contemporanei, ma in questo processo lo yoga perde la sua essenza. Lo yoga è una scienza che i saggi dell’India ci hanno lasciato. Letteralmente, la parola yoga significa “collegarsi” e, in origine, il suo significato era simile a quello della radice latina della parola religione, che significa “ricongiungere”. Perciò lo yoga e la religione hanno entrambi lo scopo di riportarci allo stesso risultato: collegarsi e congiungersi con Dio.


IL MESSAGGIO INTIMO DEGLI YOGA-SUTRA

Gli yogi di oggi potrebbero trovare interessante il fatto che secondo la tradizione il testo più importante per lo yoga è la Bhagavad-gita e non i famosi Yoga-sutra di Patanjali. La Gita però non è il vostro usuale testo di yoga, ricco di difficili posizioni fisiche e di intense tecniche di meditazione. Al contrario, essa offre una guida pratica per ottenere il risultato dello yoga — collegarsi con Dio — incoraggiando il canto dei nomi di Krishna, insegnando ad eseguire gli ordini di Krishna e spiegando l’importanza di compiere il proprio dovere con una coscienza spirituale. Queste attività, eseguite in modo appropriato sotto la guida di un adepto, ci permettono di evitare molto di quello che è considerato essenziale nello yoga convenzionale. Tuttavia tra la Gita e gli Yoga-sutra c’è armonia. Per esempio, sia Sri Krishna che Patanjali insegnano che si devono trascendere tutti i falsi concetti di “io” e sviluppare amore per Dio, e Patanjali chiama questo isvara-pranidhana (“devozione a Dio“). Patanjali scrisse nel terzo secolo dopo Cristo, ma poco si conosce della sua vita. L’unico suo testo rimasto, gli Yoga-sutra, sosterrebbe che l’armonia tra i corpi fisici e quelli mentali è molto utile nella ricerca della verità spirituale. Infatti, la sua realizzazione più importante è aver usato pratiche antiche fatte per migliorare il corpo e la mente codificandole a vantaggio degli spiritualisti.

Gli Yoga-sutra di Patanjali si limitano però ad indicare le verità messe in luce dalla Gita, che potrebbe essere considerata lo studio di perfezionamento dell’opera di Patanjali. Tuttavia Patanjali riteneva il suo metodo adatto ad offrire il più elevato beneficio spirituale, come chiarito da alcuni suoi versi, specialmente da quelli finali. Nondimeno oggi molti praticanti di yoga usano il suo metodo esclusivamente per migliorare la salute fisica e mentale perché all’inizio della sua opera Patanjali si concentra soprattutto su metodi base relativi al corpo e alla mente, senza molti riferimenti spirituali. Per esempio, nel sutra 3.2 apprendiamo che dhyana, la meditazione, è il continuo movimento unidirezionale della mente verso un unico oggetto. La tecnica di Patanjali, però, può essere usata per concentrarsi su un oggetto qualsiasi, non solo su Dio, e sebbene egli indichi ai suoi lettori lo scopo dei suoi sutra — avvicinarsi a Dio — si potrebbe essere tentati di usare i suoi metodi per scopi egoistici, come egli dice successivamente nel testo. In definitiva la concentrazione su un unico punto è fatta per meditare su Dio, sebbene non lo sia finché non si ha una completa conoscenza della Bhagavad-gita che permette di imparare chiaramente come farlo.

Come il professore Edwin Bryant sostiene nel suo ottimo articolo “La Preferenza Teistica di Patanjali, o, l’Autore degli Yoga-sutra era un Vaishnava?”(1) Patanjali cercava di guidare il suo pubblico eterogeneo verso l’adorazione di Dio, la Persona Suprema, anche se lo faceva in modo indiretto. Proprio come oggi, l’India di quel tempo era assediata da molte forme di religione; i fedeli adoravano numerosi aspetti del Supremo. Di conseguenza nei suoi Yoga-sutra egli optò per un approccio progressivo che pensava avrebbe soddisfatto il suo pubblico così vario. Tuttavia, egli afferma che l’oggetto finale della meditazione è Isvara, che significa “controllore” e che in genere si riferisce a Dio. Sebbene ci siano molti controllori e molte forme di Dio, la Bhagavad-gita (18.61) afferma che Krishna è l’isvara supremo. Anche altri testi dicono questo. Si prenda in considerazione l’antica Brahma-samhita (5.1):

 

isvarah-paramah krisnah
sac-cid-ananda vigrahah
anadir adir govindah
sarva-karana-karanam

 

“Krishna, che è conosciuto come Govinda, è Dio la Persona Suprema [isvarah-paramah]. Egli ha un corpo eterno, pieno di beatitudine e conoscenza. È l’origine di ogni cosa, è senza origine ed è la causa di tutte le cause.”

 

Patanjali consiglia ai suoi seguaci di scegliere un ista-devata, una divinità di loro gradimento. Il suo ragionamento è trasparente: egli cerca d’insegnare un metodo di meditazione e l’apprendimento di questo metodo è facilissimo se si pratica su un oggetto vicino al nostro cuore. Patanjali aveva Krishna in mente quando delineò il metodo dello yoga e il suo scopo di amare Dio? Per un erudito della letteratura vedica è ovvio che la risposta sia affermativa. Nelle parole di Edwin Bryant: Krishna è presentato dalla Gita come il proprietario di tutte le qualità elencate da Patanjali come pertinenti all’isvara, cioè essere trascendentale al karma, di una insuperabile onniscienza, maestro degli antenati, non toccato dal Tempo, rappresentato dall’om e che dà l’illuminazione. Krishna non è toccato o vincolato dal karma (Gita, IV.14, IX.9) e, per quanto concerne l’onniscienza, Egli è l’inizio, il punto di mezzo e la fine di tutto (X.20 & 32), pervade l’universo intero con un singolo frammento di Se Stesso (X.42).

Krishna insegnò agli antenati (qui rappresentati da Vivasvan, il dio del sole, che a sua volta impartì la conoscenza a Manu, il progenitore dell’umanità. [IV.1] Egli è il Tempo stesso (X.30 & 33; XI.32), ed è anche la sillaba om (IX.17). Naturalmente Krishna dà ai Suoi devoti la certezza che li libererà dalle trappole di questo mondo cosicché possano ottenere il risultato supremo (IX.30-32; X.10; VIII.58). Pertanto c’è una perfetta compatibilità tra l’isvara di Patanjali, che non ha un nome, e il Krishna rappresentato nella Gita.(2) Questo è confermato dalla tradizione dei commentari degli Yoga-sutra. I commentatori più importanti di Patanjali furono Vyasa (quinto secolo dopo Cristo (da non confondersi con il compilatore della letteratura vedica), Vachaspati Misra (nono secolo dopo Cristo), Bhoja Raja (undicesimo secolo dopo Cristo) e Vijnanabhiksu (sedicesimo secolo dopo Cristo). Tutti identificano l’isvara degli Yoga-sutra con Visnu o Krishna e dimostrano che la Bhagavad-gita esprime il culmine di tutta la saggezza vedica in relazione allo yoga.


LE OTTO PARTI DELLA GITA

La Bhagavad-gita tratta tutte le otto parti del raja-yoga, la forma di yoga oggi popolare come astanga yoga o hatha-yoga.(3) Per esempio yama, la prima parte, consiste in cinque principi etici: veridicità, continenza, non violenza, assenza di avidità e astensione dal rubare. Queste discipline fondamentali dello yoga sono citate nella Gita, come lo è niyama, la seconda parte, che consiste in temi come l’adorazione, la pulizia, la capacità di accontentarsi, l’austerità e la riflessione su se stessi. Nella Gita la terza parte del metodo di Patanjali, asana, è meno evidente. La parola asana appare raramente sulle labbra di Sri Krishna, ma quando accade si riferisce al “luogo dove una persona siede per le pratiche spirituali”. La Gita non dà suggerimenti sulle posizioni da assumere seduti, sebbene il Sesto Capitolo ci si avvicini. I versi 11 e 12 affermano: “Per praticare lo yoga ci si deve ritirare in un luogo appartato e preparare uno strato di erba kusha sul terreno, coprendolo poi con una pelle di daino e con un panno morbido. Il seggio [asana] non deve essere né troppo alto né troppo basso e deve trovarsi in un luogo sacro. Lo yogi deve poi sedersi immobile e praticare lo yoga per purificare il cuore controllando la mente, i sensi e le attività e concentrando la mente su un unico punto.”

Qui Krishna usa la parola asana nel suo significato generale anziché in quello tecnico. Parla di come sedersi per concentrare la mente. Perdere la concentrazione è facile e questo è l’argomento fondamentale di Arjuna contro lo hatha-yoga. In effetti Patanjali stesso identifica nove ostacoli sul cammino: il dubbio, la malattia, la pigrizia, la pigrizia mentale, la falsa percezione, la mancanza di entusiasmo, l’attaccamento ai piaceri dei sensi, la mancanza di concentrazione e la perdita di concentrazione. I suoi commentatori ne elencano anche altri, compresa un’eccessiva attrazione per i poteri yogici, una visione errata della meditazione, un’eccessiva semplificazione delle otto parti dello yoga e una pratica irregolare. Tutti questi problemi sono riconducibili alla difficile natura del metodo di Patanjali e costituiscono il motivo per cui Arjuna considera l’hatha-yoga virtualmente impossibile, tanto che alla fine del Sesto Capitolo afferma che è troppo difficile. Krishna è d’accordo e dice ad Arjuna che lo yogi supremo è colui che pensa sempre a Dio. Gli dice inoltre che questa meditazione è il vero yoga, perché comporta l’uso del proprio corpo e della propria mente al servizio di Krishna ed è l’asana perfetto. La Gita espone inoltre il pranayama, o controllo della respirazione, la quarta parte. Krishna dice che gli yogi possono usare l’inspirazione e l’espirazione come offerte a Lui.

Egli parla di dedicare i respiri della propria vita a Dio. Dice ad Arjuna che il prana o aria vitale dei Suoi devoti è fatta per Dio e che Arjuna dovrebbe usarla “per venire a Me”. In realtà, se una persona segue l’esempio di Arjuna offrendo ogni suo respiro a Krishna — parlando di Lui, cantando le Sue glorie e vivendo per Lui — non ha bisogno di controllare il respiro come presentato nei sutra di Patanjali. Respirare per Dio è l’essenza del pranayama. Srila Prabhupada scrive: “Anche cantare il Santo Nome di Dio e danzare in estasi sono da considerarsi pranayama.” (Srimad-Bhagavatam 4.23.8, Spiegazione). La quinta parte dello yoga, il pratyahara, tratta del controllo dei sensi, l’argomento più importante della Bhagavad-gita. Nel Secondo Capitolo Krishna dice ad Arjuna che lo yogi distacca i sensi dagli oggetti dei sensi, “come la tartaruga ritrae le membra dentro il guscio”. Se considerato superficialmente, questo può sembrare un suggerimento per una totale rinuncia al mondo, ma non è questo a cui Krishna vuole arrivare. Anzi, come altri versi chiariscono, Egli ci sta insegnando a rinunciare ai risultati delle attività, non all’attività, e ad essere nel mondo ma non del mondo. In altre parole, il Suo insegnamento è centrato sul distacco dai propri attaccamenti agli oggetti dei sensi per il proprio piacere. Egli ci istruisce ad usare questi stessi oggetti al servizio di Dio. Questo è il vero pratyahara.


LE PARTI SUPERIORI

E infine arriviamo al culmine della pratica dello yoga — le ultime tre parti del raja-yoga: dharana, dhyana e samadhi, cioè la concentrazione, la meditazione e il completo assorbimento. Mentre yama e niyama sono i gradini preliminari, queste tre parti vengono chiamate samyama, “la disciplina perfetta” o” la pratica perfetta”. La Bhagavad-gita tratta ampiamente queste parti superiori. Per esempio Sri Krishna afferma: “Fissa la tua mente in Me, Dio, la Persona Suprema e impegna in Me tutta la tua intelligenza. Così senza dubbio vivrai sempre in Me. Mio caro Arjuna, o conquistatore delle ricchezze, se non riesci a fissare la tua mente in Me senza deviare, osserva allora i principi regolatori del bhakti-yoga [abhyasayogena]. Svilupperai così il desiderio di raggiungerMi.” (Bg. 12.8-9) Il metodo della coscienza di Krishna in pratica è dharana o concentrazione spirituale. Guardando i ritratti di Krishna usiamo il senso della vista per Dio; cantando ed ascoltando impegniamo la lingua e le orecchie; offrendo l’incenso a Krishna impegniamo il senso dell’odorato. Tutti i sensi possono essere utili ad impegnarci nel dharana, la pratica che ci porta a livelli di meditazione e di assorbimento molto avanzati. Il Santo Nome è particolarmente efficace a questo scopo.

Questa è la ragione per cui Krishna afferma che tra le austerità Egli è l’austerità del japa, il canto personale, specialmente se fatto sui grani. Cantare è il re delle austerità perché cantando possiamo raggiungere facilmente il risultato dello yoga. Tutto si realizza contemporaneamente con la pratica del japa, perché cantando i Nomi di Dio ci concentriamo su Lui con la nostra voce, le nostre orecchie e il nostro senso del tatto. Il kirtana, il canto congregazionale, non solo ci conduce ad elevati livelli di assorbimento, ma impegna anche i sensi degli spettatori. Patanjali stesso nel sutra 1.28 propone “di cantare costantemente”. Dopo tutto l’ambivalenza di Patanjali può apparire fonte di confusione. Quando cita per la prima volta isvara-pranidhana, la devozione a Dio, la presenta come opzionale, mentre successivamente le dedica molta più attenzione con sei versi che trattano della natura di isvara. All’inizio sembra ammettere possibilità di variazioni per l’oggetto della meditazione (1.34-38), ma alla fine consiglia allo yogi di concentrarsi su isvara, che con le parole di Patanjali è la “speciale anima suprema” che sola può concedere il samadhi, la perfezione dello yoga.

Nel sutra 3.3 Patanjali afferma che il samadhi si realizza quando l’oggetto della meditazione appare nel più profondo del tuo cuore senza che niente possa competere con esso o distrarti da esso. Allora non hai nessun altro interesse, come se la tua natura intrinseca perdesse significato. La Bhagavad-gita lo chiarisce meglio. Nel samadhi la tua natura intrinseca non perde significato. Anzi, ne assume uno nuovo: vedi te stesso in relazione a Krishna. Ora tu sei un Suo devoto; Egli è il centro della tua vita. Questo stato di perfetto e totale assorbimento si chiama coscienza di Krishna.

 

I QUATTRO YOGA

Nel diciottesimo capitolo della Gita Krishna riassume vari tipi di yoga. In sostanza ce ne sono quattro: il raja-yoga, che riguarda le posizioni sedute, il controllo del respiro e la meditazione, oggi popolare nella forma di hatha-yoga. Il bhakti-yoga è lo yoga della devozione, il karma-yoga lo yoga dell’azione disinteressata e il jnana-yoga lo yoga della conoscenza. Anche se i percorsi sono diversi, lo scopo fondamentale è lo stesso: realizzare che Dio è il centro del nostro essere e che la vita è fatta per dedicarsi al Suo servizio. Lo yoga in tutte le sue varianti cerca di portare colui che lo pratica al di là dell’usuale identificazione con il corpo e la mente, situandolo nella trascendenza. Perciò Patanjali codificò un metodo con cui poter dominare i sensi e che alla fine porta a raggiungere lo scopo dello yoga. Il suo metodo è un tipo di raja-yoga, ma gli altri tipi di yoga sono più diretti perché favoriscono la relazione e perfino l’intimità con Dio. E fra tutti gli yoga, il bhakti-yoga è il migliore perché pone coloro che lo praticano in un’immediata relazione con Dio nella Sua più elevata forma personale, Krishna, raggiungendo così in modo facile e naturale lo scopo dello yoga.”

 

Satyaraja Dasa, discepolo di Srila Prabhupada, collabora costantemente a BTG. Ha scritto più di venti libri sulla coscienza di Krishna e vive vicino a New York City.

 

NOTE:
1. Edwin F. Bryant, “La Preferenza Teistica, O l’Autore degli Yoga-sutra era un Vaishnava?” nel Giornale di Studi Vaishnava, Volume 14, Numero 1 (autunno 2005).
2. Ibid.
3. Questo è stato messo in evidenza dal mio amico Graham Schweig, professore di religione all’Università Christopher Newport in Virginia. Gran parte del materiale per l’articolo sulle otto parti dello yoga proviene da sue interviste e conferenze.